giovedì, aprile 23, 2009

Gli spazi vuoti

Il modo in cui vivo, è dura anche riuscire a impanare come si deve una cotoletta di vitello.

Certe sere è diverso, può essere pesce o pollo. Ma state pur certi che nel preciso istante in cui ho una mano sporca d'uovo sbattuto e con l'altra stringo la carne qualcuno chiama e mi incasina le cose.
Questo accade praticamente tutte le sere della mia vita, in questo periodo.
Stasera una ragazza mi chiama da dentro un club con la musica a palla. Le sole parole che riesco a capire sono "didietro". Lei dice, "rotto in culo".
Dice qualcosa che suona come "pezzo di pane" o "figlio di un cane". Sta di fatto che è impossibile riempire gli spazi vuoti e che io mi ritrovo solo soletto in cucina urlando per cercare di farmi sentire sopra il frastuono della musica dance, da qualche parte. Lei sembra giovane e smaliziata, così le chiedo se ha fiducia in me. E' stanca di soffrire? Le chiedo, Se c'è un'unica via per porre fine al suo dolore, la seguirà?
Il mio pesciolino rosso sguazza tutto eccitato dentro la palla di vetro appoggiata sopra il frigo, così mi allungo e lascio cadere qualche goccia di Valium nell'acqua.
Sto urlando a questa ragazza, Ne ha avuto abbastanza?
Sto urlando, Non ho intenzione di stare qui ad ascoltarla lamentarsi.
Stare qui e cercare di rimettere in sesto la sua vita è solo un'enorme perdita di tempo. La gente non vuole rimettere in sesto la propria vita. Nessuno vuole che i suoi problemi vengano risolti. I suoi drammi. Le sue distrazioni. Le sue storie risolte. I suoi casini ripuliti. Perché, che cosa mai le rimarrebbe? Solamente il grande spaventoso inconoscibile.
La maggior parte della gente che mi chiama sa già cosa vuole. Alcuni vogliono morire e cercano solamente il mio permesso. Molti altri vogliono morire e hanno bisogno solamente di un piccolo incoraggiamento. Una piccola spinta. Spesso a chi è risoluto verso il suicidio non è rimasto molto senso dell'umorismo.
Una parola sbagliata, e li troverai negli avvisi mortuari la prossima settimana. La maggior parte delle telefonate che ricevo, sto ad ascoltarle solamente a metà. La maggior parte della gente, decido se deve vivere o se deve morire solamente dal tono della voce.
Non stiamo andando da nessuna parte con la tipa del dance club, così le dico, Ucciditi.
Lei dice, "Cosa?".
Prova con barbiturici e alcol, e infila la testa in una busta di plastica pulita.
Lei dice, "Cosa?".
Non si può impanare una cotoletta di vitello e pretendere di fare un buon lavoro usando una sola mano, così le dico, Ora o mai più. Premi il grilletto o lascia stare. Io le sono vicino, in questo momento. Non morirà da sola, ma non ho tutta la notte a sua disposizione.

Chuck Palahniuk, Survivor, 1999.


Etichette:

giovedì, aprile 16, 2009

Le necessità intellettuali


Si può bere troppo,
ma non si beve mai abbastanza.


Etichette:

mercoledì, aprile 08, 2009

Una nuova fede

Qualunque luce abbia usato il fotografo era una luce fredda, e proiettava brutte ombre contro il muro di cemento alle loro spalle. Un muro imbiancato qualsiasi nella cantina di chissà chi. La scimmia aveva l'aria stanca e una serie di chiazze di pelle spelate dalla rogna. L'uomo era in pessima forma, pallido e con i rotolini di ciccia intorno alla vita, eppure se ne stava lì, rilassato e piegato a novanta, con le mani puntate sulle ginocchia e la grossa pancia a penzoloni, la faccia rivolta all'indietro verso l'obbiettivo e un sorriso a trentasei denti.
"Beato" non è la parola esatta, ma è la prima che viene in mente.

All'inizio il lato della pornografia che più aveva colpito il ragazzino non era stato quello sessuale. Non le foto di gente bella che scopava, con la testa buttata all'indietro e in faccia quelle smorfie da orgasmo simulato. All'inizio no. Le foto su Internet le aveva trovate quando ancora il sesso nemmeno sapeva cos'era. Internet c'era in tutte le biblioteche. In tutte le scuole.
Come quando ci si sposta da una città all'altra e si trova sempre una chiesa cattolica, la stessa messa celebrata dappertutto: in qualsiasi famiglia adottiva lo spedissero, il ragazzino trovava sempre Internet. La verità era che se sulla croce Cristo fosse scoppiato a ridere, o avesse sputato in testa ai romani, se avesse fatto una cosa qualsiasi oltre a soffrire, al ragazzino la chiesa sarebbe piaciuta molto di più.
In realtà, nel suo sito preferito di eccitante non c'era un granché, almeno non per lui. Quando ti collegavi non trovavi altro che una dozzina di foto di questo omino tracagnotto vestito da Tarzan, con un buffo orangutan addestrato a infilargli quelle che sembravano caldarroste su per il culo.
L'uomo ha il perizoma leopardato spostato da una parte, l'elastico affondato nella vita grassoccia.
La scimmia è accovacciata accanto a lui, pronta con la castagna successiva.
Non c'è niente di eccitante. Eppure il contatore diceva che quel sito era stato visitato da più di mezzo milione di persone.
"Pellegrinaggio" non è la parola esatta, ma è la prima che viene in mente.
La scimmia e le castagne non erano roba che il ragazzino potesse capire, ma in un certo senso lui quel tizio lo ammirava. Il ragazzino era stupido, però capiva che quella era una faccenda più grande di lui. La verità è che la maggior parte delle persone da una scimmia non si farebbero nemmeno vedere nude.
Avrebbero paura di scoprire che in foto il loro buco del culo risulta arrossato, magari gonfio. Quasi nessuno avrebbe il coraggio di mettersi culo all'aria davanti a una scimmia, figuriamoci davanti a una scimmia e a una macchina fotografica e alle luci, e anche se fosse, prima correrebbe a farsi un miliardo di addominali e una lampada e un nuovo taglio di capelli. Dopodiché passerebbe ore col culo per aria davanti uno specchio, cercando di capire qual è il profilo migliore.
E poi, anche se sono castagne, bisogna comunque stare un minimo rilassati.
Il solo pensiero dei provini per scegliere la scimmia dava i brividi, l'eventualità di essere scartato da una scimmia dopo l'altra. Certo, pagando abbastanza, di gente disposta a infilarti della roba dentro o a fotografarti ne trovi. Ma una scimmia. Una scimmia mica finge.
L'unica speranza sarebbe quella di beccare lo stesso orangutan delle foto, che chiaramente non andava tanto per il sottile. O forse era solo ben addestrato.
Il punto è che tutto ciò non avrebbe senso se uno fosse bellissimo e sexy.
Il punto è: in un mondo dove bisogna essere belli a tutti i costi, quel tizio non lo era. La scimmia non lo era. Quello che stavano facendo non lo era.
Il punto è che non era stato l'elemento sessuale, o quello pornografico, a colpire lo stupido ragazzino. Era stata la sicurezza di sé. Il coraggio. L'assoluta mancanza di pudore. La disinvoltura e la genuina schiettezza. La faccia di starsene lì così e dire al mondo intero: Ebbene sì, ecco come ho deciso di impegnare uno dei miei pomeriggi liberi. Facendomi fotografare con una scimmia che mi infila delle castagne su per il culo.
E chi se ne frega di come vengo in foto. O di quello che pensate voi.
Fatevene una ragione.
Aggredendo se stesso, quel tizio aveva aggredito il mondo intero.
E anche se per lui l'esperienza non era stata proprio piacevolissima, la capacità di sorridere, di dissimulare, lo rendevano ancor più ammirevole.
Proprio come nei film porno, dove c'è sempre un mucchio di gente che se ne sta fuori campo a fare la maglia, a mangiare panini, a guardare l'orologio, mentre a pochi metri di distanza ci sono persone nude che fanno sesso...
Per lo stupido ragazzino fu un'illuminazione. Essere così disinvolti e così sicuri di sé sarebbe stato il Nirvana.
"Libertà" non è la parola esatta, ma è la prima che viene in mente.
Era quello il genere di orgoglio e di sicurezza che il ragazzino avrebbe voluto possedere. Un giorno.
Se in quelle foto ci fosse stato lui, avrebbe potuto riguardarsele tutti i giorni e pensare: se sono riuscito a fare questo, allora posso fare tutto. Qualsiasi cosa ti fosse capitato, se eri riuscito a sorridere, a ridere, mentre una scimmia ti scopava a colpi di castagne in una cantina umida e qualcun altro scattava foto, be', qualsiasi altra situazione sarebbe stata una passeggiata.
Persino l'inferno.

Chuck Palahniuk, Soffocare, 2002.


Etichette: